Si può considerare legittimo il mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità per i conviventi di fatto? La pensione di reversibilità è un beneficio previdenziale che viene concesso ai familiari superstiti in caso di decesso del pensionato o dell’assicurato (nel caso della pensione indiretta).
Attualmente, i beneficiari di questa pensione sono:
- Il coniuge o la persona unita civilmente, come stabilito dall’articolo 1 della Legge n. 76 del 2016. Tuttavia, se il coniuge si risposa, perde il diritto alla pensione ai superstiti ma ha diritto a un assegno una tantum pari a due annualità della quota di pensione, inclusa la tredicesima mensilità, come previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 18 gennaio 1945, n. 39.
- Il coniuge separato.
- Il coniuge divorziato, a condizione che percepisca l’assegno divorzile, non si sia risposato e che l’inizio dell’attività assicurativa del defunto preceda la sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
- I figli e altre persone equiparate. Inoltre, con la circolare n. 64 del 2024, l’INPS ha esteso il diritto alla pensione di reversibilità anche ai nipoti maggiorenni che erano a carico del pensionato deceduto e che sono inabili al lavoro.
Secondo la normativa italiana, per beneficiare della pensione di reversibilità, è necessario che la coppia sia formalmente riconosciuta attraverso un matrimonio o un’unione civile. Pertanto, i conviventi di fatto, non essendo riconosciuti giuridicamente come una coppia con gli stessi diritti dei coniugi, non possono accedere alla pensione di reversibilità. I figli, invece, sono tutelati fino ai 26 anni se sono studenti e fino ai 21 anni se non lo sono.
L’articolo 1, comma 36 della Legge n. 76 del 2016 definisce i conviventi di fatto come due persone maggiorenni, non legate da parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile, che convivono stabilmente con legami affettivi e con assistenza reciproca, risiedendo abitualmente nello stesso comune. Questa definizione si applica a coppie sia eterosessuali sia omosessuali, indipendentemente dalla cittadinanza.
La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che i conviventi di fatto non hanno diritto alla pensione di reversibilità, poiché il sistema previdenziale attuale non prevede tale diritto per chi non è legato da un vincolo giuridico come il matrimonio o l’unione civile. Secondo la Corte, questa mancanza di previsione normativa non viola i principi costituzionali italiani né quelli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, poiché la convivenza non è assimilabile al matrimonio e non comporta il riconoscimento automatico della pensione di reversibilità (Cass. civ., Sez. lav., 3 novembre 2016, n. 22318).
Recentemente, però, la Cassazione, con l’ordinanza n. 22992 del 21 agosto 2024, ha sollevato alle Sezioni Unite questioni di costituzionalità riguardo alle norme che impediscono il riconoscimento della pensione di reversibilità al partner superstite di una convivenza di fatto antecedente all’unione civile e ai figli nati da coppie gay tramite maternità surrogata.
Il caso in questione riguarda un ricorso dell’INPS contro una decisione della Corte d’Appello di Milano che aveva riconosciuto la pensione di reversibilità al partner superstite di una coppia omosessuale. I due uomini convivevano stabilmente e avevano avuto un figlio nato negli Stati Uniti nel 2010 attraverso la fecondazione assistita. Inizialmente, il bambino era stato registrato in Italia come figlio del solo genitore biologico, ma nel 2017 era stata trascritta una sentenza statunitense che riconosceva la paternità anche del secondo genitore, deceduto nel 2015. Questa situazione ha aperto la strada per un’azione legale volta a ottenere la pensione indiretta per il genitore superstite e per il figlio.
Ora, i giudici chiedono alle Sezioni Unite di esaminare, considerando anche l’interesse superiore del minore, se il rifiuto dell’INPS di riconoscere la pensione di reversibilità possa essere considerato discriminatorio.