La pensione di vecchiaia è un trattamento il cui requisito principale è la soglia di età, generalmente posta a 66 – 70 anni, a seconda della gestione previdenziale. Presso la generalità delle gestioni Inps, per il biennio 2019- 2020, il requisito di età è pari a 67 anni, sia per gli uomini che per le donne (il requisito è stato parificato nel 2018). Particolari categorie di lavoratori addetti a mansioni impegnative, come i conducenti di veicoli pubblici, le forze di polizia, etc., conservano requisiti ridotti di età.
Oltre al requisito di età, è richiesta anche una soglia minima di contribuzione accreditata, pari a 20 anni, nella maggior parte delle gestioni amministrate dall’Inps.
Ma come si determina l’importo pensione di vecchiaia?
Le modalità di calcolo della pensione dipendono innanzitutto dalla gestione previdenziale di appartenenza, e possono differire in base a specifiche opzioni alle quali il lavoratore può aderire, come il ricalcolo contributivo.
Per la generalità delle gestioni Inps, la pensione di vecchiaia è calcolata col sistema retributivo (basato sugli ultimi o migliori redditi o retribuzioni; le modalità di calcolo differiscono in base al fondo preso in considerazione) sino al 1995 (cosiddetto calcolo misto), o sino al 2011 per chi possiede almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. Per le annualità successive, il sistema utilizzato è quello contributivo, che si basa sulla contribuzione accreditata e sull’età alla data del pensionamento.
Calcolo retributivo della pensione di vecchiaia
Nel sistema retributivo il calcolo della pensione è basato sulla media degli ultimi redditi o retribuzioni (o dei migliori redditi o retribuzioni, per particolari gestioni) e sull’anzianità contributiva accreditata.
La formula per il calcolo della quota retributiva della pensione è:
Pensione = retribuzione pensionabile x rendimento x anzianità contributiva
Retribuzione pensionabile
La retribuzione pensionabile è calcolata come la media delle retribuzioni o dei redditi imponibili, rivalutati, di un determinato numero di anni antecedenti alla pensione.
Il numero di anni considerato nella media varia a seconda della gestione previdenziale.
Per quanto riguarda il fondo lavoratori dipendenti (Fpld), ad esempio, il calcolo retributivo è diviso in due quote, che prendono in considerazione, nella retribuzione pensionabile, gli ultimi 5 anni (per la cosiddetta Quota A), gli ultimi 10 anni, o gli anni dal 1993 al pensionamento (per la cosiddetta Quota B, a seconda dell’anzianità contributiva al 31 dicembre 1992).
Il calcolo della media per la retribuzione pensionabile si effettua invece sugli ultimi 10 anni per i lavoratori autonomi, e sull’ultimo anno per il pubblico impiego (le modalità sono differenti a seconda della categoria di appartenenza: statali, enti locali, etc.).
La media per le annualità successive (Quota B, dal 1993 al 2011 per i più anziani o dal 1993 al 1995 per i più giovani) incorre in un’elevazione sensibile del numero di anni, che passa dai 10 in su per tutti i dipendenti e dai 15 per gli autonomi.
Per i liberi professionisti la situazione cambia a seconda del fondo di appartenenza: solitamente i periodi di riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile sono più ampi, ed in alcuni casi coprono l’intera vita contributiva.
Molti enti previdenziali utilizzano valori minimi e massimi di reddito imponibile: in questi casi, nel calcolo bisogna riferirsi al reddito imponibile considerato dall’ente quando accredita la contribuzione, e non al reddito effettivo del lavoratore (che può essere minore, inferiore al minimale vigente, o superiore se maggiore del massimale).
Rendimento
Il rendimento è un coefficiente di proporzionalità, che serve per attribuire un determinato valore alla retribuzione pensionabile, per ogni anno di anzianità contributiva.
Se, ad esempio, il rendimento è pari al 2%, e il lavoratore ha alle spalle 20 anni di anzianità contributiva e una retribuzione pensionabile pari a 25mila euro, la pensione risulterà pari a: 25.000 x 2% x 20, ossia a 10mila euro annui.
Di solito non si utilizza un unico coefficiente di rendimento, ma un sistema di coefficienti decrescenti per fasce di reddito crescenti.
Anzianità contributiva
L’anzianità contributiva corrisponde al numero di anni di contributi accreditati ai fini del calcolo della pensione.
In alcuni casi particolari, se il reddito imponibile risulta eccessivamente basso, l’ente previdenziale può accreditare un numero ridotto di settimane nell’anno.
Quando si applica il calcolo retributivo per la pensione di vecchiaia?
Il calcolo retributivo si applica, per la generalità delle gestioni Inps, a tutte le annualità entro il 2011, per i lavoratori con più di 18 anni di contribuzione al 1995.
Per chi ha meno di 18 anni al 31 dicembre 1995, si utilizza il sistema misto o pro-rata: tutti i periodi di contribuzione sino alla fine del 1995 sono computati con le modalità del calcolo retributivo, mentre le annualità successive sono valutate col sistema contributivo (cosiddetto sistema misto).
Calcolo contributivo della pensione di vecchiaia
A partire dal 1996 (dal 2012 per gli iscritti Inps con oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995), fatta eccezione per le casse previdenziali dei liberi professionisti, è stato introdotto un nuovo sistema di calcolo della misura della pensione, il sistema contributivo.
In questo sistema di calcolo la pensione è proporzionale alla somma rivalutata dei contributi accreditati nell’arco della vita lavorativa (montante contributivo), ed inversamente proporzionale alla speranza di vita al momento del pensionamento: in pratica, la pensione, grazie ai coefficienti di trasformazione (che trasformano il montante contributivo in assegno), cresce al crescere dell’età al pensionamento.
La quota contributiva della pensione è calcolata con la seguente formula:
- Pensione = montante contributivo x coefficiente di trasformazione
Il montante contributivo si calcola con la seguente formula:
- Montante = montante anno precedente x tasso di capitalizzazione + reddito imponibile x aliquota di computo
Il tasso di capitalizzazione è pari alla media mobile geometrica dei cinque anni antecedenti, della crescita del prodotto interno lordo nazionale (Pil) calcolato appositamente dall’Istat.
Il reddito imponibile è il reddito o la retribuzione da sottoporre a contribuzione, che non può eccedere una specifica soglia massima, detta massimale, adeguata ogni anno al tasso dell’inflazione. Per il 2019 è pari a 102.543 euro
Il massimale si applica soltanto a coloro la cui pensione è calcolata col sistema esclusivamente contributivo, cioè a coloro che hanno iniziato a contribuire successivamente al 31 dicembre 1995 o che hanno optato per il calcolo contributivo.
L’aliquota di computo per la pensione è pari alla percentuale pensionabile del reddito imponibile: non sempre coincide con l’effettiva aliquota di contribuzione (cioè con l’aliquota complessivamente a carico del datore di lavoro e del lavoratore). Per la generalità dei lavoratori dipendenti è sempre rimasta al 33%.
I coefficienti di trasformazione, o di conversione del montante, sono delle percentuali che si devono applicare al montante contributivo, per trasformarlo in assegno di pensione.
Se la pensione di vecchiaia che l’Inps deve liquidare, calcolata sulla base dei contributi accreditati, risulta di importo inferiore a un limite definito, detto trattamento minimo, viene integrata sino al raggiungimento di questo limite, a condizione che siano soddisfatti i requisiti economici richiesti.
Non sono integrate le pensioni calcolate col sistema esclusivamente contributivo.
I requisiti per ottenere l’integrazione al trattamento minimo sono i seguenti:
- i propri redditi devono essere inferiori al trattamento minimo;
- i propri redditi, cumulati con quelli del coniuge, devono essere inferiori al doppio del trattamento minimo.
L’integrazione spetta solo in parte se:
- il proprio reddito è superiore al trattamento minimo ed inferiore al doppio dello stesso;
- il reddito cumulato con quello del coniuge è superiore al doppio ma inferiore al quadruplo del trattamento minimo.
Non spetta alcuna integrazione se il proprio reddito supera il doppio del trattamento minimo, oppure il reddito cumulato con il coniuge supera il quadruplo del trattamento minimo.
Alcuni redditi non contano ai fini del superamento della soglia limite, quali la pensione da integrare, il Tfr, il reddito da prima casa ed i redditi esenti da Irpef.
Attualmente, l’importo del trattamento minimo è pari a 513,01 euro mensili.
Incremento al milione della pensione di vecchiaia
Chi ha diritto all’integrazione al minimo può avere anche diritto alla maggiorazione sociale sulla pensione, ed eventualmente all’incremento al milione, rispettando determinati limiti di reddito. La pensione, con queste ulteriori integrazioni, può arrivare ad un massimo di circa 650 euro mensili.
La maggiorazione spetta:
- ai titolari di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, mezzadri e coloni);
- ai titolari di pensione della gestione speciale per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere;
- ai titolari di pensione dei fondi esclusivi e sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria (fondo volo, fondo telefonici etc.);
- ai titolari di pensione sociale;
- ai titolari di assegno sociale;
- ai titolari di prestazioni assistenziali (invalidi civili, sordomuti e ciechi civili).
Integrazione con la pensione di cittadinanza
La pensione di vecchiaia può anche essere integrata dal reddito o dalla pensione di cittadinanza, se il nucleo familiare possiede tutti i requisiti richiesti.