Inciampare in una buca stradale: spetta il risarcimento?

Chi non ha mai inciampato sul marciapiedi mentre camminava! Non a tutti va bene: alcuni finiscono al pronto soccorso e sono costretti a portare un tutore o un gesso per qualche settimana. È questa la fine di chi cammina distratto, si potrebbe concludere con la proverbiale saggezza di chi “va sano, va lontano”. Non tutti però ci stanno e così, una volta guarito, qualche infortunato inizia la propria battaglia contro il Comune per avere il risarcimento. Ma non è così facile come sembra. Anche fornendo la prova della presenza, sulla strada, di una buca profonda e insidiosa è assai difficile ottenere i soldi per i danni subiti. E non è una questione di avere il miglior avvocato sulla piazza. Difatti, come confermato dalla Cassazione con una ordinanza di qualche giorno fa, la prudenza deve essere elevata quando si cammina. Insomma: niente occhi puntati sul cellulare o a guardare le belle signorine. Il che vuol dire anche avallare il vecchio detto: chi è causa del suo mal pianga se stesso.

È davvero sempre così? A chi ha la sfortuna di inciampare in una buca stradale, spetta il risarcimento? Cerchiamo di fare il punto della situazione e verificare l’attuale stato della giurisprudenza.

Quando non c’è risarcimento per buca stradale

La legge italiana impone, a chiunque commette un illecito, di risarcire i danni da esso prodotti. Nel caso del Comune o di qualsiasi altra pubblica amministrazione, responsabile della custodia del suolo pubblico (marciapiedi, strade, ecc.), l’illecito consiste nel non aver predisposto la dovuta manutenzione della strada, consentendo così che il cittadino si facesse male in una buca, un avvallamento, un gradino pericolante, un tombino divelto, ecc.

Ma, poiché sottoporre a costante vigilanza tutte le vie urbane è compito improbo anche per un piccolo centro, la legge esclude il risarcimento già quando la situazione di pericolo si sia verificata da poco, non consentendo all’amministrazione di intervenire per tempo (riparando o delimitando il tratto di strada in questione). Pensa, ad esempio, a una macchia d’olio appena caduta o a un violento temporale che abbia causato una crepa sull’asfalto.

Quindi tutte le cadute avvenute poco dopo il verificarsi dell’insidia stradale non possono essere risarcite in quanto il Comune non ha alcuna colpa: bisogna sempre dare agli operai il tempo di intervenire.

Il secondo fattore che esclude la responsabilità del Comune è la condotta imprudente del danneggiato: l’amministrazione non può essere responsabile delle colpe altrui. E la colpa del pedone è certamente quella di non guardare dove mette i piedi. La prudenza, infatti, è un obbligo che grava su ciascuno di noi. Niente risarcimento, dunque, se non si presta attenzione alla buca. Ma cosa significa in pratica? Secondo le applicazioni della giurisprudenza, il risarcimento scatta solo se la buca non era visibile o percepibile. Il che vuol dire che non si viene risarciti in caso di pericolo evidente: ad esempio una fossa di grandi dimensioni o segnalata. È sbagliato quindi appellarsi alla larghezza dell’insidia stradale per risaltare la colpa del Comune: proprio un fattore del genere esclude il risarcimento.

In secondo luogo, la conoscenza dei luoghi da parte del pedone gli impone di prestare maggiore attenzione. Immagina una persona che va tutti i giorni al lavoro percorrendo la stessa strada e già sapendo che il tratto è interessato da alcune disconnessioni; il giorno che si distrae, magari per rispondere a un sms, e cade non può che prendersela con se stesso.

Insomma, per ottenere il risarcimento, l’insidia deve essere nascosta. In base al principio di solidarietà espresso dall’articolo 2 della Costituzione, c’è l’esigenza di dover tener conto del «dovere generale di ragionevole cautela». Sicché «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata, attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese, e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente concorre il contributo causale nella dinamica del danno il comportamento del danneggiato». 

La Cassazione ricorda un principio sacrosanto: chi cammina per la strada deve stare sufficientemente attento a non inciampare. La diligenza chiedibile al soggetto danneggiato va, infatti, calibrata in relazione alla situazione concreta e, cioè, riferita allo stato dei luoghi, nonché al momento, giorno notte, in cui il fatto si verifica. Quindi, in una strada non illuminata, in orario serale, è più facile ottenere il risarcimento rispetto a una zona ben visibile.

Condizioni per avere un risarcimento

Per avere il risarcimento è poi necessario dimostrare una serie di fattori. Il primo di questi è certamente la presenza della buca. Il che significa munirsi di un cellulare e scattare le foto o anche chiamare dei testimoni. 

Ma ciò non basta. Bisogna anche provare che la caduta è avvenuta solo e unicamente a causa della buca e non per altri fattori (ad esempio, i lacci delle scarpe non annodati). Questo aspetto può essere dimostrato solo con testimoni i quali dovranno dichiarare di aver visto il povero infortunato mettere un piede in fallo nell’ostacolo e cadere subito dopo.

Poi è necessaria la prova dei danni subiti: il certificato di pronto soccorso, le cure mediche, le medicine acquistate, la fisioterapia ed eventualmente i giorni di assenza dal lavoro. Il tutto sarà certificato da un medico legale di parte.

La domanda di risarcimento va presentata direttamente al Comune e non alla sua assicurazione.

Il difficile onere della prova

Secondo qualche giudice spetta al cittadino dimostrare che la buca era poco visibile e, quindi, insidiosa. Altre sentenze invece affermano che è il Comune a dover dimostrare – per andare esente da ogni responsabilità – l’imprudenza del pedone e la facile percezione del pericolo. 

La Corte, anche di recente ha sostenuto che l’amministrazione comunale è tenuta a garantire che la circolazione dei veicoli e dei pedoni avvenga in condizioni di sicurezza e, quindi, deve provvedere alla normale manutenzione dello stato dei luoghi. Ne consegue che tale dovere di sorveglianza costituisce un obbligo primario della pubblica amministrazione e la sua violazione integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente.