Se ti dico «sindrome del burnout» forse devi fermarti un attimo a pensare di che cosa stiamo parlando. Se, invece, ti dico «stress» ci capiamo subito, vero? Lo capirà anche il tuo datore di lavoro quando gli dirai che la sindrome del burnout si è impossessata di te fino al punto di provocarti una malattia seria? Se sgranerà gli occhi perché non sa che cos’è, puoi spiegargli che si tratta di una patologia causata da un eccessivo carico di lavoro. Che è la fine di un processo stressante in cui è coinvolto chi si vede impegnato ogni giorno ed in moto ripetitivo in attività legate alle relazioni interpersonali. Detto con queste parole, forse continuerà a non capirti e, così, capirà qual è il tuo problema: che sei stressato. Che non ce la fai più. E che vuoi rivendicare i tuoi diritti al lavoro per la sindrome del burnout.
Bisogna precisare che il burnout non è lo stress ma una conseguenza dello stress. È una patologia in grado di deteriorare:
- l’impegno verso il lavoro;
- le emozioni positive legate al lavoro;
- la capacità di adattamento al lavoro.
Tutto ciò (spesso messo insieme) ha come conseguenza un disagio psicofisico che può portare all’esaurimento emotivo e fisico, alla depressione e ad un mutamento della personalità. La sindrome del burnout, dunque, è da tenere in seria considerazione soprattutto quando si fa un’attività di tipo assistenziale (pensa all’infermiere, al medico, all’assistente sociale) ma anche a professionisti come l’avvocato o il consulente fiscale. Professionisti che si fanno carico dei problemi di chi soffre o si trova in difficoltà per motivi diversi e che rischiano di riversare su sé stessi queste sofferenze fino al punto di non riuscire più a gestirle. Ecco perché, quando se ne avvertono i sintomi, bisogna non solo sapere che cos’è ma anche quali sono i diritti al lavoro di chi soffre di questa sindrome. Ad esempio, si può stare a casa in malattia? Si possono prendere dei permessi per delle terapie, ad esempio, da uno psicologo? Si può chiedere di cambiare reparto o attività per tentare di rimettere le cose in sesto dentro la testa? Vediamo che cos’è il burnout, che cosa lo provoca e quali sono i diritti al lavoro previsti per chi ha questa patologia.
Sindrome del burnout: che cos’è?
Burnout, in inglese, significa «bruciato». Ed è quello che ti può succedere quando fai un lavoro a contatto con la gente in cui lo scopo principale è aiutare gli altri. Può essere da un punto di vista sanitario, come il medico, l’infermiere, l’assistente sociale, lo psicologo, l’educatore sanitario, il fisioterapista, ecc. Sono loro le vittime più frequenti della sindrome del burnout. Ma non le uniche: a fare i conti con questo disturbo ci sono altre categorie di lavoratori che hanno a che fare con i problemi degli altri, come carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco, avvocati, consulenti fiscali, insegnanti ed altre figure che vivono a contatto con la realtà altrui.
Ed è proprio questa realtà da cui nasce il burnout o, se preferisci dirlo così, nella quale il lavoratore comincia a «bruciarsi». L’eccessiva pressione del lavoro, degli utenti o dei clienti di cui si deve occupare, insieme ad uno smisurato senso del dovere accendono la miccia: inizia un processo di logoramento psicofisico a causa della mancanza di energie. Non si è più in grado di sopportare lo stress accumulato e la vita ed i problemi degli altri si mescolano con quelli del lavoratore fino ad arrivare ad un punto in cui non si sa più dov’è la linea di confine che separa gli uni dagli altri.
Sindrome del burnout: come si sviluppa?
Si possono distinguere diverse fasi nella sindrome del burnout. Ad esempio, in un operatore sanitario che, come dicevamo, è il più esposto alla patologia (ma vale anche per le altre figure professionali interessate), il processo si sviluppa in questo modo:
- una fase in cui prevale l’entusiasmodi avere scelto una professione dedicata agli altri;
- un secondo momento di stagnazionein cui il lavoratore viene sottoposto ad un carico di stress eccessivo e comincia a rendersi conto che la realtà non coincide con ciò che si aspettava. Iniziano a diminuire l’entusiasmo e il senso di appagamento;
- una terza fase di frustrazione in cui prevalgono i sentimenti di inutilità, di insoddisfazione, di inadeguatezza, di sfruttamento, di scarsa riconoscenza verso il proprio lavoro. Può aumentare l’aggressività verso gli altri e la voglia di evitare il luogo di lavoro;
- una quarta fase di apatia in cui non ci sono più né interesse né passione per il proprio lavoro. Prevale la più totale indifferenza.
Sindrome del burnout: quali conseguenze?
Dicevamo all’inizio che non bisogna confondere stress e sindrome del burnout. Il primo, infatti, è la causa della seconda. Ma quali possono essere le conseguenze se il problema non lo si affronta per tempo?
Tra gli effetti psicologici del burnout si possono segnalare:
- l’esaurimento emotivo;
- la perdita della personalità;
- la riduzione della propria realizzazione personale e professionale;
- la necessità di fuggire dall’ambito lavorativo;
- la perdita di entusiasmo e di interesse per l’attività che si svolge;
- la frustrazione e insoddisfazione;
- la mancanza di empatia nei confronti delle persone di cui si occupa.
Tutto questo si riflette anche sul lato fisico. Infatti, la sindrome del burnout può provocare:
- gastrite;
- cefalee;
- tachicardia;
- insonnia;
- depressione.
Non sono mancati, purtroppo, i casi in cui tutto ciò sfocia in gesti estremi come l’abuso di alcol o di droghe e l’aumento del rischio di suicidio. Va da sé che se la sindrome degenera si può trasformare in una malattia invalidante.
Sindrome del burnout: diritto all’invalidità
Quali sono, allora, i diritti al lavoro per chi soffre della sindrome del burnout dovuta allo stress? Bisogna, intanto, ricordare che lo stress, di per sé, non viene riconosciuto come malattia. Solo quando si manifesta in patologie psichiche e fisiche che comportano dei danni dovuti all’eccessivo carico di lavoro si può parlare di malattia professionale.
Occorre valutare, quindi, la singola patologia riscontrata. Quando si arriva alla depressione (o Mdd, cioè disturbo depressivo maggiore) oppure all’esaurimento nervoso è possibile riscontrare una riduzione della capacità lavorativa, cioè un’invalidità. Le tabelle ufficiali che riportano le percentuali di invalidità indicano, in proposito, questi valori:
- sindrome depressiva endoreattiva lieve: 10% ;
- sindrome depressiva endoreattiva media: 25%;
- sindrome depressiva endoreattiva grave: dal 31% al 40%;
- sindrome depressiva endogena lieve: 30%;
- sindrome depressiva endogena media: dal 41% al 50%;
- sindrome depressiva endogena grave: dal 71% all’80%;
- nevrosi fobico ossessiva e/o ipocondriaca di media entità: dal 21% al 30%;
- nevrosi fobico ossessiva lieve: 15%;
- nevrosi fobico ossessiva grave: dal 41% al 50%;
- nevrosi ansiosa: 15%;
- psicosi ossessiva: dal 71% all’80%.
Se la sindrome del burnout provoca altri disturbi come la colite ulcerosa, problemi al fegato o al cuore, occorrerà valutare caso per caso la percentuale di invalidità riconosciuta dalle tabelle. Nel caso in cui sia accertata la riduzione della capacità lavorativa, si può avere diritto ad una prestazione assistenziale a seconda della percentuale. Bisogna, comunque, superare il 33% ed avere tra 18 e 65 anni per essere riconosciuti invalidi civili.
Gli assegni di invalidità
Per esempio, l’assegno di invalidità ordinario viene erogato a chi ha una percentuale superiore al 74%, 5 anni di contribuzione e almeno 3 anni di contributi versati nell’ultimo quinquennio. Si calcola sulla contribuzione versata.
Se non ci sono questi requisiti, si può aspirare all’assegno di invalidità civilesempre che non si superi il reddito annuo di 4.906,72 euro. L’importo dell’assegno è di 285,66 euro mensili.
La pensione di invalidità
Se la percentuale di invalidità arriva al 100%, chi soffre della sindrome del burnout o di una delle sue conseguenze può fare domanda per ottenere la pensione di invalidità civile, sempre di 285,66 euro. Occorre, però, avere un reddito inferiore a 16.814,34 euro.
Sia per la pensione di invalidità sia per l’assegno di invalidità, il requisito anagrafico è stato modificato recentemente: ora può fare richiesta chi ha tra i 18 ed i 67 anni, anziché un massimo di 66 anni e 7 mesi come fino al 2018.
Sindrome del burnout: diritto ad assenze per malattia
Al di là delle prestazioni assistenziali, che succede sul posto di lavoro a chi soffre della sindrome del burnout? Ad esempio, ha diritto ad assentarsi e a chiedere la malattia retribuita?
Per rispondere a questa domanda, si torna al discorso di prima: bisogna valutare che tipo di patologia è emersa a causa del burnout o dell’esaurimento nervoso. Visto che, come abbiamo spiegato, la sindrome può provocare dei disturbi anche gravi dal punto di vista fisico come da quello psicologico, sarà il medico curante a stabilire se il lavoratore ha bisogno di un periodo di riposo ed a fissare il numero dei giorni in cui deve rimanere a casa.
In quest’ultimo caso, cioè quando il medico decide che l’assenza dal lavoro è giustificata, occorre seguire la normale procedura della malattia, cioè:
- chiedere al medico di base il certificato che andrà inviato all’Inps per via telematica entro il giorno successivo a quello in cui è stata diagnosticata la malattia;
- avvertire il datore di lavoro dell’assenza e comunicargli il numero di protocollo telematico del certificato medico.
Vanno rispettate, inoltre, le fasce di reperibilità per le visite fiscali, cioè:
- dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 per i dipendenti del settore privato;
- dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 per gli impiegati statali.
Tuttavia, è possibile che, visti gli effetti della sindrome di burnout, il medico curante decida di prescrivere al paziente qualche ora di svago fuori casa (una passeggiata al parco, un’attività motoria, ecc.). In questi casi, la mancata presenza del lavoratore nella sua abitazione durante la malattia non può essere sanzionata, come stabilito dalla Cassazione.
Sindrome del burnout e Legge 104
Se la situazione è degenerata, può succedere che venga riconosciuto un handicap nella persona che soffre della sindrome del burnout. Significa che c’è una disabilità mentale, motoria o sensoriale tale da impedire o limitare l’integrazione sociale, lavorativa, personale e familiare. In questo caso, il lavoratore ha diritto a:
- i permessi retribuiti della Legge 104;
- la possibilità di scegliere la sede di lavoro e di rifiutare un trasferimento;
- le agevolazioni fiscali che spettano ai portatori di handicap, ad esempio sull’acquisto dell’auto o di sussidi informatici, sulle spese di assistenza o su quelle mediche.
Quando il lavoratore che soffre di burnout è riconosciuto invalido al 100% e non riesce a camminare o a compiere gli atti quotidiani della vita senza l’assistenza di un’altra persona, ha diritto all’assegno di accompagnamento. L’importo è di 517,84 euro per 12 mensilità.
Sindrome del burnout e pensione anticipata
Anche in questo caso bisogna considerare gli effetti fisici o psichici provocati dalla sindrome di burnout e le relative percentuali di invalidità. Nello specifico:
- se l’invalidità è superiore al 74%, il lavoratore avrà diritto a 2 mesi di contributi figurativi aggiuntivi per ogni anno fino ad un massimo di 5 anni, all’Ape sociale o alla pensione anticipata precoci;
- se, invece, l’invalidità supera l’80%, il lavoratore avrà diritto alla pensione di vecchiaia anticipata. Deve, però, avere 60 anni e 7 mesi di età se uomo e 55 anni e 7 mesi se donna. Inoltre deve avere versato 20 anni di contributi.
La pensione anticipata per questi motivi non è prevista per i dipendenti pubblici.