Come cambieranno le pensioni nel 2022? A fine anno, scadrà Quota 100, la riforma pensionistica approvata durante il primo Governo Conte. Si tratta di anticipare la pensione, rispetto ai 67 anni di età ordinari, a 62 di età più 38 di contribuzione. Quota 100 non sarà rinnovata perché troppo costosa.
Proprio recentemente, l’OCSE ha richiamato l’Italia sull’eccesso di spesa pensionistica.
Il Governo Draghi, detto il migliore, pensa di superare lo scalone che porta alla Riforma Fornero con quota 102, per il 2022, quota 104, per il 2023, il che significa 64 anni di età e 38 di contribuzione e 65 anni di età e 39 di contribuzione.
Per contro, c’è tutto un movimento che post pandemia reclama una riduzione del monte ore settimanale e l’anticipo delle pensioni per tutti.
Per superare gli inconvenienti di quota 100, 102 e 104, che lascerebbe intere generazioni dal 1960 in poi escluse, come è accaduto già per quota 100, sarebbe necessario distinguere tra tipologie di lavori, individuando esattamente quelli usuranti, investendo sull’istituto dell’Ape Social.
La cosa divertente però è che i sindacati, questa volta unitariamente, hanno già dichiarato “irricevibile” la proposta del Governo Draghi ma non hanno speso una parola sulla irricevibilità delle loropensioni privilegiate il che risponde al vecchio adagio del “predicare bene ma razzolare male”.
Come scrive l’Inps, sul sito cliccando su “porte aperte”, i sindacalisti, al contrario di altre categorie, non appartengono ad una gestione previdenziale a sé stante tuttavia hanno regole contributive diverse dagli altri lavoratori perché possono vedersi ugualmente versati i contributi (o addirittura lo stipendio) da enti terzi rispetto al sindacato presso cui prestano il proprio lavoro e perché possono, prima di andare in pensione, farsi pagare dalle Organizzazioni sindacali incrementi delle proprie pensioni a condizioni molto vantaggiose.
Quindi, va bene cambiare quota 100 se si cambiano anche i privilegi delle pensioni dei sindacalisti.
Possiamo immaginare che Draghi negozierà con i sindacati e insieme troveranno soluzioni ragionevoli. Di sicuro non saranno quelle contenute nella piattaforma delle organizzazioni sindacali che sono “fuori mercato” e che riporterebbero il sistema a prima del 2011.
Soprattutto i sindacati devono convincersi che una più lunga permanenza nell’attività lavorativa (fatte salve le condizioni usuranti e la protezione di particolari eventi della vita, è il caso soprattutto della maternità e della cura dei figli, dei disabili e degli anziani) è un’esigenza imposta dagli andamenti demografici, dai trend del mercato del lavoro e dalla garanzia di una migliore adeguatezza dei trattamenti (da La guerra dei cinquant’anni di Giuliano Cazzola).
Fonte Diritto e Giustizia
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