Per ottenere il mantenimento, l’ex moglie può rifiutare lavori non pertinenti ai suoi studi. La questione è stata affrontata più volte dalla giurisprudenza e, da ultimo, da una recente e interessante ordinanza della Cassazione. Ecco cosa hanno detto, in proposito, i giudici supremi. Ma facciamo prima un passo indietro.
Con la separazione e il successivo divorzio, il giudice riconosce un assegno di mantenimento al coniuge economicamente incapace di mantenersi da sé; lo fa però solo se questi ne è meritevole, ossia dia prova di non aver più l’età, le condizioni di salute o le possibilità oggettive di trovare un lavoro che gli garantisca l’autosufficienza. Ciò implica che questi, per ottenere gli alimenti, debba prima dimostrare di aver fatto di tutto per occuparsi.
Di qui, il ricorrente dubbio se l’ex moglie disoccupata ma laureata debba “abbassarsi” a qualsiasi lavoro oppure possa comunque ambire a un impiego conforme alla propria formazione. In altri termini, si può chiedere all’ex moglie, con tanto di titolo universitario, di andare a fare la badante, la colf o di svolgere lavori manuali?
L’articolo 156 del Codice civile stabilisce una regola a tutti ormai ben nota: «il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri».
Il fatto però di non avere «redditi propri» non significa adagiarsi su tale situazione; il coniuge deve comunque fare di tutto per rendersi autonomo e indipendente. Quale peso però può avere il fatto di essere “giovani e forti”, potendo perciò svolgere attività manuali? La Corte non ha dubbi: se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, ogni attività deve essere considerata uguale alle altre in termini di dignità e quindi valutabile ai fini dell’occupazione. Non si può quindi svilire il lavoro manuale rispetto a quello intellettuale solo perché l’interessato ha maturato un titolo di studio diverso.
Con il divorzio, si recidono definitivamente tutti i legami tra marito e moglie: chi dei due non è in grado di badare a sé stesso può contare sull’appoggio dell’ex solo nella misura in cui abbia fatto di tutto – non riuscendovi non per propria colpa – per reggersi sulle proprie gambe. Anche accettando lavori comunemente considerati onerosi e svilenti.
Ciò che conta, infatti, è se l’ex coniuge possa, in astratto, produrre un reddito adeguato, a prescindere dalla natura di tale attività. E se detta potenzialità a produrre reddito sussiste, ma non viene sfruttata adeguatamente, allora non è possibile chiedere l’assegno di mantenimento.
Risultato: non è illogico, né giuridicamente scorretto ritenere che la moglie separata non possa andare a fare la badante o la colf, anche se è laureata.
Non esiste alcun il diritto dell’ex a rifiutare ogni lavoro perché non pertinente e adeguata, ossia non conforme alle proprie ambizioni o agli studi intrapresi. Così facendo infatti si arriva «a negare dignità al lavoro manuale».
Del resto, in caso di divorzio, l’assegno di mantenimento non serve a garantire lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ma rappresenta soltanto un contributo al coniuge economicamente più debole, dovuto solo a patto che questi si attivi nella ricerca di un impiego.
Nel caso di specie deciso dalla Corte, il marito lamentava che la ex, laureata in lingue, avrebbe aggravato in modo ingiustificato la sua posizione rifiutando varie offerte di lavoro procuratele da lui solo perché si sarebbe trattato di lavori “umili” e “modesti”. Secondo la Cassazione, però, non si può ritenere svilente che una «persona laureata», che in costanza di matrimonio ha «goduto di un livello di vita invidiabile», possa in seguito essere «condannata al banco di mescita o al badantato». Il tutto mentre l’attitudine al lavoro proficuo come potenziale capacità di guadagno costituisce un elemento indispensabile per assumere le decisioni sull’assegno di mantenimento.
Non si può giungere a negare dignità al lavoro di assistenza alla persona; al contrario, bisogna calarsi nel concreto e valutare in modo specifico gli eventuali impieghi trovati e le proposte ricevute. Il tutto alla luce di un mercato occupazionale che, oggi più che mai, non consente di fare gli schizzinosi.