Il lavoratore che ha un familiare che versa in una condizione di difficoltà a livello fisico, situazione, appunto, riconosciuta con la legge 104, ha sempre necessità di essere reperibile e presente sul luogo di residenza del disabile per correre in suo soccorso in caso di evenienze e necessità. Dunque, è chiaro che il ricorso alla legge 104 si risolve in un beneficio per il soggetto portatore di handicap. Perciò, oltre ai tre giorni di permesso retribuiti al mese, il dipendente ha la possibilità di opporsi al trasferimento di sede impostogli dall’azienda solo a determinate condizioni. Il trasferimento di sede del lavoratore che assiste un familiare disabile non può essere disposto unilateralmente dall’azienda, è necessario sempre il consenso del dipendente. Attenzione: questo consenso però non è necessario se il datore di lavoro dimostra l’esistenza di gravi esigenze a livello organizzativo. Il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione anche se lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva.
Per quanto riguarda il dipendente pubblico, invece, il Consiglio di Stato ha definito la posizione del dipendente che chiede un trasferimento in una sede più vicina al familiare disabile come un interesse legittimo. Per cui spetta alla Pubblica amministrazione valutare l’istanza alla luce delle esigenze organizzative e di efficienza complessiva del servizio, ogni eventuale limitazione o restrizione nella relativa applicazione deve comunque essere motivata.